Anteprima del romanzo Immagina di Yami

10150065_10202494635839667_700284252_nCapitolo I
Cadere

«Finalmente a casa.»
Quella notte soffiava un vento gelido e penetrante. Una fitta pioggia tamburellava ritmicamente contro i vetri delle finestre, con una tale insistenza che sembrava volesse irrompere all’interno delle case, fin dentro i sogni degli uomini. In tutto il
quartiere le luci erano già state spente da un pezzo quando Feo rientrò nel suo appartamento. Con la schiena appoggiata contro la porta d’ingresso, voltò la testa ora da una parte ora dall’altra, come se fosse in grado di penetrare l’oscurità con lo sguardo.
Cercò il muro con le dita e una volta sfiorata la fredda superficie, avanzò tentoni seguendone le pareti fino a raggiungere la stanza da letto. Vi si lasciò cadere pesantemente, si sfilò i vestiti e scivolò sotto le coperte. Rabbrividì. La pioggia lo aveva inzuppato e sentiva il freddo invaderlo fino alle ossa. Benché si
sentisse parecchio stanco, in quelle condizioni gli sarebbe servita una mezz’ora buona prima di riuscire a prendere sonno.
Era in momenti come questi che pensieri di ogni tipo cominciavano ad affiorare uno dopo l’altro e più tentava di
ricacciarli indietro, più essi prendevano il sopravvento e lo tormentavano.
Si ritrovò ancora una volta a esaminare la sua vita. Da bambino era sempre stato allegro e spensierato. Socializzava con facilità con chiunque ed era pieno di interessi e qualità. Passava continuamente da un progetto all’altro: un giorno si prometteva che sarebbe diventato un rinomato archeologo; un altro
l’avvocato più famoso del mondo; un altro ancora una spia del governo, come quelle che vedeva nei film; oppure un disegnatore di manga, un attore, uno scrittore, il componente di una rock band e così via. Gli bastava la fantasia per raggiungere qualunque obiettivo o per viaggiare da una parte all’altra del mondo, ma ben presto avrebbe imparato che nella vita reale le cose non sono per nulla così semplici. Già alle medie aveva notato che i suoi compagni non parlavano d’altro che di sport, motori e ragazze, come se per loro non ci fosse altro d’interessante al mondo. Non aveva nulla in comune con nessuno, per cui, per non sentirsi tagliato fuori, spesso fingeva interesse per quelle cose che tanto li entusiasmavano e si limitava ad ascoltare passivamente tutto quello che dicevano. Era alquanto frustrante: sempre gli stessi argomenti, nessuno con cui condividere le proprie passioni per la
musica, il cinema, il teatro, i manga e tutto il resto. E quando, esasperato, aveva provato ad accennare qualcosa al riguardo, tutto quello che ne aveva ricavato erano state delle battute di scherno e
il dirottamento della discussione sui soliti temi, considerati dagli altri “più maturi”.
Le vere difficoltà erano cominciate alle superiori. La pressione scolastica era maggiore rispetto a quella affrontata fino a quel momento e si era reso conto che c’erano persone più brave di lui in tutte le discipline che lo avevano sempre interessato: era bravo nel disegno, ma qualcun altro era più preciso di lui nei tratti e nella cura dei dettagli; era abile negli sport, ma altri lo superavano in agilità e destrezza; dimostrava una buona predisposizione per la recitazione, come aveva appurato frequentando il laboratorio teatrale scolastico, ma sentiva di non riuscire a rendere unici i personaggi che interpretava. Si era lanciato in tante altre attività alla ricerca di qualcosa in cui
potesse specializzarsi: musica, canto, pittura, scrittura. Era discreto in tutte, ma in nessuna di esse riusciva a eccellere.
Possibile che fosse una persona qualunque, senza uno scopo particolare nella vita? Tutti avevano un “ruolo” nel mondo, ma qual era il suo? A che serviva saper fare tante cose bene, ma non saperne fare neanche una in maniera egregia? Da quel momento la sua sicurezza e le sue aspirazioni avevano cominciato a incrinarsi e vacillare. L’entusiasmo e la spensieratezza di un tempo iniziarono a sfumare gradualmente ed era diventato più
chiuso e riservato. La situazione con i compagni di classe non era cambiata: continuava a non avere interessi in comune con nessuno e questo lo faceva sentire strano e fuori posto.
L’argomento predominante adesso era il sesso e i ragazzi avevano l’abitudine di fare domande imbarazzanti e personali su sue eventuali e presunte relazioni amorose. Feo trovava irritante la
loro invadenza e spesso faceva finta di non aver sentito o tentava di deviare la discussione su qualcos’altro. Questo suo atteggiamento schivo e riservato però non faceva altro che attirare maggiormente la loro curiosità, finché, stizziti dall’ennesimo rifiuto, arrivarono a insinuare che probabilmente fosse “dell’altra
sponda” e poco a poco lo allontanarono.
Le ragazze, al contrario, facevano di tutto per agganciarlo con ogni pretesto. Spesso sorprendeva due o tre di loro a fissarlo: allora quelle abbassavano lo sguardo arrossendo e ridacchiavano.
Era normale che facesse quell’effetto alle ragazze. Era sempre stato molto carino, alto e snello, con un taglio un po’ spettinato – dettaglio che gli conferiva un aspetto un po’ trasandato che tanto piace alle ragazze. I lineamenti del viso perfettamente disegnati, occhi color cioccolata e labbra perfette. Quello che le faceva “sciogliere” di più era il suo sguardo disarmante: tutte si perdevano nella profondità di quegli occhi senza riuscire a capire quale energia li rendesse così speciali, mentre al contrario lui dava la sensazione di poter penetrare qualunque barriera, arrivare fin dentro l’anima e vederne tutti i segreti.
Nonostante fosse oggetto di tante attenzioni da parte di molte donne, Feo aveva occhi solo per Lei. Lei aveva lunghi capelli castani e luminosi occhi verdi; era bellissima, riservata e questo la rendeva speciale e popolare tra tutti i ragazzi della scuola. A differenza di tutte le altre però, sembrava non accorgersi nemmeno della sua esistenza. Frequentava classi diverse dalle sue e durante l’intervallo era sempre in compagnia di altre tre o
quattro compagne e altrettanti ammiratori. Aveva l’aria di trovarsi a disagio nella confusione che le si creava attorno, nonostante ciò, si dimostrava sempre gentile e paziente con tutti. Quante volte
Feo aveva desiderato avvicinarsi e parlarle, ma con tutta quella gente intorno non avrebbe mai avuto il coraggio di farsi avanti. E poi non voleva apparire come uno dei tanti scocciatori che le ronzavano attorno. Così, i primi due anni, l’aveva osservata da lontano, fantasticando su mille probabili incontri. Anche quando chiudeva gli occhi riusciva a vedere il suo viso: era il suo primo pensiero quando si svegliava e l’ultimo prima di addormentarsi.
L’ultimo anno delle superiori l’istituto scolastico aveva organizzato una gita di cinque giornate presso tutte le migliori università di Kyoto e dintorni. Con enorme sorpresa, Feo lesse sulla bacheca degli annunci accanto alla segreteria, che la sua classe era stata sistemata sullo stesso pullman di quella di Lei. Era bastato questo per spingerlo a dare la sua adesione.
Ogni dettaglio di quella gita rimase impresso nei suoi ricordi.
Il giorno della partenza si era sistemato in una delle ultime file, mentre tutti gli altri avevano preso posto ordinatamente in coppia.
C’erano tutte le sue compagne, ma di Lei nessuna traccia. In pochi minuti la guida aveva fatto l’appello e le porte erano state chiuse: allora, deluso, era sprofondato sul sedile con lo sguardo
assente fisso davanti a sé. Il pullman si era mosso per una decina di metri, per poi fermarsi nuovamente. Dal mormorio che si era levato aveva capito che uno studente era arrivato all’ultimo momento e si erano fermati per farlo salire e poiché tutti i posti erano occupati, tranne quello di fianco al suo, per una sorta di
ripicca, aveva pensato di assicurarsi il posto migliore, accanto al finestrino. Così era scivolato di lato e si era messo a fissare fuori imbronciato.
«Scusa, posso sedermi?»
Lei, con aria un po’ sciupata ma sempre bellissima, era proprio lì davanti ai suoi occhi. Il cuore aveva preso immediatamente a martellargli dentro il petto e aveva pensato che sarebbe esploso di lì a poco. Al suo cenno affermativo, Lei si era seduta al suo fianco, aveva riposto la sua borsa sotto il sedile e tirato fuori un libricino che aveva cominciato immediatamente a leggere con aria assorta. Dopo più di mezz’ora Feo aveva finalmente trovato
il coraggio di presentarsi. Avevano cominciato a parlare del più e del meno come se fossero stati amici da sempre e le ore erano passate senza che se ne fossero resi conto. Feo era felice come non lo era stato da un bel po’ di tempo: finalmente aveva avuto occasione di conoscerla, di parlarle e aveva addirittura scoperto che avevano
tanti interessi e idee in comune. Con Lei riusciva a parlare di tutto senza annoiarsi né annoiarla: erano in perfetta sintonia.
In appena quattro giorni erano diventati inseparabili.
Naturalmente avevano addosso gli sguardi di tutti: i ragazzi lo invidiavano terribilmente e i più sfacciati di tanto in tanto interrompevano le loro chiacchierate tentando di separarli con ogni pretesto. Le ragazze facevano lo stesso: solo le più romantiche sospiravano con ammirazione contemplando quella coppia perfetta.
Al rientro dalla gita i due avevano continuato a frequentarsi assiduamente. Durante l’intervallo s’incontravano e mangiavano insieme: quasi tutti i giorni lei aveva preso l’abitudine di portare un cestino preparato appositamente per lui e Feo le raccontava delle storie che le piacevano tanto, storie che aveva sognato, popolate da creature fantastiche e magiche.
Lei sarebbe rimasta ad ascoltarlo per ore: amava perdersi in quelle fantasie e lasciarsi cullare dal suono della sua voce. Ma sul più bello puntualmente la campana suonava e i due rientravano in classe correndo e ridendo come bambini.
Alla fine delle lezioni rincasavano insieme facendo una lunga passeggiata: lui la accompagnava fino al cancelletto di casa, s’intratteneva ancora un po’, poi si davano appuntamento per l’indomani mattina.
Feo aveva trovato il suo scopo nella vita: renderla felice.
Quando una persona ne incontra un’altra con le stesse idee e inclinazioni, con gli stessi principi e la stessa capacità di sognare, in grado di sentire prima che ascoltare e di conoscere prima di giudicare, quella persona non avrà bisogno di nient’altro nella vita. Si sente completa e appagata, ama e viene amata
incondizionatamente e al mondo non c’è felicità più grande di questa. Lo pensavano entrambi eppure ogni tanto Feo scorgeva una luce strana negli occhi di Lei, un’ombra di malinconia che attraversava il suo volto per alcuni minuti per poi lasciare posto a un sorriso non appena lui le chiedeva se c’era qualcosa che la turbava. Lo stare insieme era così naturale e ovvio che non avevano avuto bisogno di ufficializzare pubblicamente la loro relazione.
Tra studio, passeggiate, gite e picnic, i mesi erano volati come niente ed erano arrivati gli esami a decretare la fine delle superiori. E non solo quelle. Dopo la cerimonia del diploma, Feo l’aveva portata al Luna park. Quella sera Lei aveva nuovamente quell’ombra che già altre volte aveva velato il suo sguardo. Lui per la prima volta aveva deciso di non farle domande e di tentare di farla sorridere regalandole una serata speciale. Avevano mangiato tanti dolci buonissimi, aveva vinto un grosso panda di peluche per lei e infine l’aveva portata sulla ruota panoramica da dove ammirarono lo spettacolo dei fuochi d’artificio. Lì, sospesi nel vuoto, l’aveva baciata per la prima volta: quello era stato l’ultimo momento di vera felicità. Dopo quel bacio, Lei si era sciolta in lacrime e gli aveva detto addio: si sarebbe trasferita in
America, dall’altra parte del mondo e non avrebbero più potuto stare insieme. In quel preciso istante Feo aveva sentito qualcosa di caldo e pesante gravare sul suo petto come se una goccia d’inchiostro, nero e denso come petrolio, gli fosse caduta sul cuore, lasciando una grossa chiazza scura: era di nuovo solo.
Dopo la partenza di Lei, aveva deciso di non iscriversi all’università, con grande disappunto dei suoi. Non era riuscito a trovare nessuna cosa che lo soddisfacesse. L’unica persona che avesse mai amato, che lo capiva e lo ascoltava era andata via.
Prese a mangiare poco e perse interesse verso ogni cosa. Si ritrovò di nuovo senza uno scopo, senza un significato da dare alla sua esistenza. Persino il resto del mondo aveva cominciato a guastarsi, diventando violento e pericoloso: nei telegiornali si parlava sempre più spesso di feroci aggressioni, omicidi, brutali stupri, rapine e tante altre cose terribili. Eppure sembrava non importasse a nessuno più di tanto: la gente si limitava ad ascoltare passivamente come se appartenesse a un altro pianeta. Era come se quegli orrori non esistessero dal momento che non li riguardavano direttamente. Una vita sprecata in battibecchi inutili o pettegolezzi sui propri vicini. Possibile che tutto e tutti stessero marcendo rapidamente? Oppure era sempre stato così e lo aveva
notato solamente adesso?
A ventun’anni era riuscito a mettere da parte un bel po’ di soldi lavorando come corriere per la ditta del padre, così aveva deciso di dare una svolta alla sua vita e andare a vivere da solo.
Cambiando ambiente probabilmente avrebbe conosciuto persone nuove con le quali condividere qualcosa; avrebbe trovato un buon lavoro, recuperato un po’ di fiducia e sarebbe tornato sereno e vivace come un tempo. Magari sarebbe anche riuscito a dimenticare Lei.
Animato da nuove speranze, si era trasferito in un piccolo appartamento nella periferia di Tokyo. Le sue referenze erano tuttavia insufficienti per ottenere un lavoro in ufficio o presso qualche agenzia: richiedevano tutti una specializzazione e precedente esperienza lavorativa. Per pagarsi l’affitto fu quindi costretto a numerosi lavori part-time come cameriere, uomo delle consegne, postino, bigliettaio, lavapiatti e altro ancora. Nel frattempo aveva provato a farsi delle amicizie ma si sentiva sempre diverso; si sentiva rispondere scherzosamente che era un
po’ troppo buono e ingenuo, che gli ideali cui aspirava si erano estinti da un pezzo, che era l’ultimo sognatore rimasto in circolazione. Nella vita bisognava fare a gomitate se volevi sopravvivere e imparare a diventare cattivo per fregare gli altri prima che quelli fregassero te.
Decise di provare a seguire il loro modo di fare: forse avevano ragione, stava vivendo la vita nel modo sbagliato, inseguendo cose che non importavano a nessuno. Prese a incontrarsi con loro quasi tutte le sere dopo il lavoro: passavano il tempo a bighellonare e a spostarsi da un bar all’altro, dove spesso i suoi amici si ubriacavano e facevano discorsi sconvenienti e di cattivo gusto anche in presenza delle ragazze; discorrevano di cose senza
importanza, litigavano per delle stupidaggini e si ritiravano a notte fonda. Per tre anni fu questo il suo andamento di vita. Si era sforzato ad adattarsi e ad affezionarsi a qualcuno, a trovare qualcosa di giusto o sensato nel loro modo di pensare e agire. Ma non ci riusciva. Si sentiva sempre più diverso, inadatto e infelice.
Il tempo passava e non trovava alcun modo per uscire da quello stato di “incapacità di vivere”. Non accadeva nessuna novità, nessuna occasione per cambiare lo stato delle cose. Era come starsene seduto in panchina, con delle pesanti catene alle caviglie e guardare il resto del mondo avanzare in file disordinate verso
una strada della quale non si vedeva la fine, tutti col proprio biglietto numerato, mentre nel suo era scritto “più infinito”.
L’unico conforto che gli era rimasto era nel sonno: chiudeva gli occhi e si lasciava portare via, lontano, da mille fantasie. Per questo motivo, quando rincasava, mormorava con un sospiro di sollievo: «Finalmente a casa».
Anche quella notte aveva fatto lo stesso, ma questa volta aveva usato un tono più avvilito e malinconico del solito. Si era girato nel letto sospirando, finché le coperte non lo avevano riscaldato e smise di tremare. Gli occhi gli bruciavano terribilmente. Li chiuse e mentre veniva invaso dal torpore, desiderò con tutta l’anima di non doversi svegliare mai più. Quando il corpo si abbandona al sonno, il respiro si fa regolare, le pulsazioni rallentano e percepiamo lo scorrere del tempo in maniera diversa. Cosicché Feo non si accorse esattamente di quanto tempo fosse passato, quando sentì all’improvviso una leggera pressione su tutto il corpo, come se qualcosa lo avesse avvolto delicatamente e lo stesse trascinando verso il basso. I suoi sensi divennero intorpiditi e confusi. Gradualmente smise di percepire il mondo esterno, come se l’anima stesse abbandonando il corpo. Il suo subconscio avvertendo quel cambiamento, reagì attivando una sensazione di pericolo incombente, così, per istinto Feo provò a muoversi ma il suo corpo era rigido e duro come il cemento. Questa esitazione sembrò frenare quella sorta di “discesa”. Pensò che forse ciò che aveva desiderato si stava avverando, quindi non aveva motivo di opporre resistenza: se davvero quella era la morte, non era poi così male. Si rilassò e la pressione lo trascinò ancora più giù, finché la sensazione di rigidità non svanì e si sentì libero.
«Immagina…»
Aprì gli occhi. Aveva ripreso a muoversi liberamente e si rizzò a sedere.
«Che razza di sogno…» mormorò stropicciandosi le palpebre.
Prima di svegliarsi aveva avuto l’impressione di sentire una voce. Si guardò intorno: tutto era perfettamente tranquillo e silenzioso, tuttavia si sentiva inquieto. C’era qualcosa di diverso.
Stette attentamente in ascolto e dopo qualche istante, si ricordò che prima di addormentarsi stava piovendo, ora invece aveva smesso. Dalle imposte non filtrava alcuna luce eppure riusciva a
intravedere le sagome dei mobili e degli altri oggetti della sua stanza. Non vi badò: era sempre stato in grado di orientarsi abbastanza bene al buio e poi era normale che gli occhi si fossero già abituati all’oscurità.
Soltanto buio e silenzio, come se qualcuno avesse spento l’interruttore del mondo.
“È questa la morte?” pensò guardandosi intorno spaesato.
Un leggero bagliore in fondo al corridoio attirò improvvisamente la sua attenzione. La porta d’ingresso era aperta e lui ricordava benissimo di averla chiusa a chiave come sempre.
Qualcuno doveva essersi introdotto in casa. Scese dal letto con cautela cercando di non fare il minimo rumore. Rabbrividì al contatto col pavimento gelido e s’infilò rapidamente una felpa e il primo paio di pantaloni che aveva afferrato al buio. Cercò anche un oggetto che potesse usare come arma da difesa, ma non trovò nulla che potesse servirgli. Pensò di chiamare la polizia. Frugò dentro le tasche e sul comodino accanto al letto alla ricerca del
telefonino, ma sembrava scomparso nel nulla. Non aveva altra scelta, doveva andare a controllare da solo.
Si fece coraggio e sbirciò in corridoio: non si vedeva nient’altro che quel bagliore proveniente dall’ingresso né si
sentiva alcun rumore dalle altre stanze. Chiunque fosse entrato mentre lui dormiva poteva essere già andato via. Del resto viveva in un piccolo appartamento e non possedeva niente di valore.
Comunque era meglio procedere con prudenza. Quando finalmente giunse davanti alla porta, il suo respiro si bloccò.
Fuori vide il nulla, nero e assoluto. Dove avrebbe dovuto esserci il terreno si apriva una buca circolare dal diametro di almeno cinque metri, dalla cui profondità brillava la luce spettrale che lo aveva attirato. Si aggrappò tutto tremante allo stipite e vi sbirciò dentro: la buca era così profonda che gli venne un capogiro.
«Immagina…»

Nell’udire quella parola per poco non cadde a terra per lo spavento: era la stessa voce che aveva sentito nel sonno. Si voltò di scatto. Un vecchio, vestito in modo strano e con lunghi capelli bianchi se ne stava ritto davanti a lui con in mano una chiave che sembrava fatta di un materiale inconsistente, splendente come
luce e impalpabile come le nuvole. Aveva un’aria rassicurante e lo fissava con un’espressione bonaria, come se lo conoscesse. La mente di Feo venne invasa da mille domande, ma la sorpresa era così inaspettata che boccheggiò senza riuscire a emettere alcun suono.
«Immagina che ti venga offerta l’opportunità di intraprendere un viaggio in un mondo diverso da questo, imprevedibile e magico, popolato da migliaia di creature diverse e pieno di luoghi che solo i più grandi sognatori sono riusciti a raggiungere. Un luogo dove potresti ricordare quello che hai perso… Che cosa
faresti?»
Feo non si era ancora ripreso dallo stupore per quella visione inaspettata e la domanda del vecchio non fece che aggiungerne altro.
Lo sconosciuto sorrise e riprese a parlare.
«Solo, nessun vero amico con cui sentirti libero di essere te stesso, un amore impossibile e quel che è peggio, privato di tutti quelli che qui chiamate “sogni”, non è così?»
Come faceva a sapere tutte quelle cose? Cosa voleva dire con “ricordare quello che aveva perso”?
Non aveva idea di chi fosse quel tale e di cosa stesse parlando.
«C-chi sei?» riuscì finalmente a balbettare. Tra tutte le cose che avrebbe voluto chiedere, la prima curiosità che gli venne da soddisfare suonò tanto banale quanto necessaria.
«Sono il Custode di Chiavi della porta che collega la dimensione della veglia a Immagina, il regno dei sogni» rispose
quello candidamente.
«Il custode di che? È uno scherzo o sto facendo uno di quei sogni strani che sembrano quasi veri?» esclamò il ragazzo
perplesso.
«Sogni… Sì, hai sempre creato dei sogni straordinari…» rispose vagamente l’altro. «Ma in questo caso è diverso: non stai semplicemente sognando, sei dentro la dimensione del sogno.
Non mi stupisco che tu abbia dimenticato ogni cosa: nel mondo della veglia il tempo scorre in maniera differente e ha il potere di cancellare in fretta i ricordi migliori per lasciare spazio alle
amarezze.»
«Continui a parlare di qualcosa da ricordare, ma io non capisco di cosa stai parlando… Perché sei venuto proprio da me? Sei sicuro di stare parlando con la persona giusta?»
«Hai desiderato di non svegliarti un altro giorno ancora in questo mondo, non è forse così?»
Feo stava per replicare, ma l’uomo continuò.
«Sono qui per ciò che è stato promesso tanto tempo fa.
Qualora avessi desiderato di rinunciare al mondo della veglia, sarebbe stato compito mio aprirti le porte del sogno. Così è stato.
Ma devo avvertirti: le cose sono cambiate, non ci sono più soltanto magia e fantasia. I tempi si sono fatti bui e i sentieri molto pericolosi. Per recuperare ciò che hai perso dovrai viaggiare parecchio e potresti imbatterti in qualcosa di più grave e minaccioso dei mali che affliggono questo mondo. Te la senti di rischiare alla ricerca del significato della tua esistenza o preferisci rimanere qui per sempre, infelice ma probabilmente più al sicuro di quanto non saresti laggiù?»

«Il significato della mia esistenza…» ripeté Feo pensieroso e confuso.
Era quello che aveva sempre cercato e adesso gli si presentava l’occasione di scoprirlo. Intendeva questo quando aveva detto che poteva recuperare una cosa che aveva perso? E cosa voleva dire il
resto?
«Cosa intendi con “rimanere qui per sempre”?»
«È concesso un solo viaggio tra il mondo dei sogni e quello della veglia» rispose il vecchio. «Attraverso il sogno, gli uomini si limitano a sbirciare il nostro mondo: per loro è come fare delle brevi escursioni nelle terre create dalla loro immaginazione e dal loro subconscio. Una volta svegli finiscono col dimenticare quasi tutto, per poi ricominciare una nuova avventura la notte successiva. Oltrepassare la porta è diverso: significa entrare completamente, scegliere a quale mondo appartenere. Se adesso decidessi di rifiutare e tornare alla veglia, non ti sarà mai più
concessa un’occasione per entrare. Potrai solamente continuare a sognare come tutti gli altri.»
«Questo significa anche che se decidessi di entrare non potrei più tornare indietro, giusto?»
«Precisamente.»
«In pratica mi stai chiedendo di scegliere tra il rimanere qui per il resto della mia esistenza o gettarmi nel baratro dove potrei ugualmente rimetterci le penne? In entrambi i casi non sembra che vada a finire molto bene per me» disse Feo con una punta d’ironia.
«Ti sto chiedendo di scegliere tra una vita infelice e la possibilità di cambiarla: se in meglio o in peggio, questo
dipenderà dalle tue capacità… e anche da una certa dose di fortuna» precisò il custode.
«Fortuna? Fantastico…» commentò amaramente il ragazzo.
Il vecchio dava l’impressione di sapere molte più cose di quelle che gli stava dicendo. C’erano molti lati oscuri nel suo discorso, per esempio quanti e quali pericoli avrebbe potuto incontrare. Ma aveva il sospetto che se anche glielo avesse chiesto, l’uomo avrebbe risposto alle sue domande in modo evasivo. A ogni modo era obbligato a fare una scelta e riflettendoci su, concluse che in fondo non aveva niente da perdere. Gli unici ricordi felici che aveva conservato erano così appannati e distanti che sembravano appartenere alla vita di qualcun altro; al contrario, nel mondo dei sogni, a quanto pareva, aveva lasciato qualcosa di importante. E poi, se quel viaggio lo
avesse portato verso la morte, pazienza: in fondo, che fosse morto nella veglia o nel sonno, non aveva molta importanza per lui al punto in cui era.
«Portami via…» si decise, dopo qualche minuto di silenzio.
«Sei davvero sicuro di voler “passare”?»
Feo annuì senza aggiungere altro.

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